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Valter Valè
Grancona - VI
Vorrei proporre alcune riflessioni in merito all'interessante articolo In cosa crede chi (non) crede di Nicla Vassallo, pubblicato il 20/04/08.
Anche l'agnosticismo (sospensione di giudizio sull'esistenza o no di Dio) che si può arguire dal divieto di Wittgenstein (Su ciò di cui non si può parlare, meglio tacere) può valere più come un invito alla cautela critica di fronte al mistero della realtà che come dichiarazione di insensatezza di qualsivoglia ricerca metafisica.
Non si può assolutizzare una posizione agnostica senza cadere nella contraddittoria smentita dello stesso agnosticismo.
Infatti, una tale assolutizzazione più che farci guadagnare un pensiero più critico, ci fa scadere nella rassegnazione di un pensiero negligente, che si è limitato a rimuovere l'ineludibile tensione metafisica propria della condizione umana.
Una più corretta e onesta posizione agnostica, allora, può solo confessare la convinzione di chi, di fronte al mistero della realtà, afferma di non aver ancora trovato delle buone ragioni per pronunciarsi sull'esistenza o non esistenza di Dio, senza per questo pretendere di escludere la possibilità che tale sua convinzione possa venir in seguito superata.
Ma poiché esistere non significa solo conoscere, si patisce e agisce nell'esistenza credendo anche in ciò per cui non si sono trovate ancora delle buone ragioni.
Per questo avere delle buone ragioni per credere all'esistenza di Dio non può essere come avere delle buone ragione per credere, ad esempio, all'esistenza degli extra-terrestri.
Una fede religiosa, infatti, coinvolge non solo le buone ragioni della mente, ma anche gli impulsi del cuore, che spingono ad agire e non solo a conoscere.
Anche il Vangelo sembra sottolineare con forza la decisività della prassi rispetto alle buone ragioni del credere quando rileva: Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma chi farà la volontà del Padre (cfr. Mt 7, 21).
Per questo aspetto, allora, anche il ruolo dei cosiddetti esperti, filosofi e teologi che siano, assume un peso molto relativo nelle questioni di fede, atea o teistica che sia.
Alfio Fantinel – Annone Veneto (VE)
Pur non avendo alcuna preparazione filosofica (o forse proprio per questo)ho letto con grande interesse il Suo articolo. Vorrei chiederLe cortesemente alcuni chiarimenti sul concetto di giustificazione.
"Il significato di un'asserzione è dato dalla sua giustificazione"
Sbaglio se ritengo che questa sia un'asserzione? E che quindi il suo significato debba essere dato dalla sua giustificazione?
Quindi dicendo "il significato di un'asserzione è dato dalla sua giustificazione" sto dicendo qualcosa che ha significato solamente nel caso disponga di buone ragioni per credere che sia vero che "il significato di un'asserzione è dato dalla sua giustificazione"
Posto che quanto ho detto sia sensato (e ne dubito, vista la mia ignoranza) si presenterebbe un problema:
Le "buone ragioni, il "perchè lo credi vero" saranno pure formulate come asserzioni, quindi il loro significato dovrà essere dato dalla loro giustificazione.
Ma come posso utilizzare questo criterio se esso stesso non è ancora giustificato?
Sicuramente queste sono delle sciocchezze (non giustificabili e quindi prive di significato), dovute alla mia totale incompetenza, ma, se Lei avesse qualche minuto libero, gradirei molto sapere dove sbaglio.
Agostino Arista
"Non c'è nulla di così stupido che non sia stato detto da un filosofo".
Affermazione che trova continuamente conferma. Equiparare l'ateismo alla fede, è solo apparentemente logico. Non sono praticante, ma il Suo articolo "In cosa crede chi (non) crede" mi pare molto fragile sotto il profilo logico. Intanto sono molto più numerosi i filosofi credenti che gli atei, inclusi Einstein, Godel, Frege. Attraverso un torrente. Poso i piedi su pietre instabili e scivolose. Guadagno l'altra riva. Dovendo spiegare come sia riuscito nonostante l'instabilità dei punti d'appoggio sarei in difficoltà. Parafrasando la preposizione nr. 7 di Wittgenstein : "non tutto si può spiegare" L'ateo dovrebbe non sa dire la ragione per cui in tutti i popoli, in ogni angolo del pianeta, nascono religioni. L'accanimento contro i principi religiosi si traduce oggettivamente in un "dio è morto, tutto è permesso". La religione sarà anche l'oppio dei popoli, ma certo fa meno danni dell'eroina, coca, e altre droghe assunte realmente. Spero, se mai decide di rispondermi, eviti il richiamo alla libera scelta. I più non sono neppure in grado di decidere dove andare in vacanza, su questo prosperano cattivi maestri, imbonitori vari, agenzie di pubblicità, filosofi gnostici.
Alfonso Salmour